Proposta delle associazioni ambientaliste quale base di lavoro per il tavolo tecnico in materia di GESTIONE FAUNISTICA
Introduzione
La fauna rappresenta una delle componenti dell’ambiente che ci circonda, lo stesso ambiente in cui anche noi viviamo. L’equilibrio della fauna è indissolubilmente legato a quelli di tutti gli altri componenti ambientali. Solo in un territorio salvaguardato in tutti i suoi aspetti – geologico, vegetale, biologico, agricolo, idrico, antropico – la fauna può avere garanzie di vita equilibrata, di sufficiente biodiversità, di corretta coabitazione.
La gestione faunistica deve quindi rientrare in una visione di ampia pianificazione ed uscire dallo schema di una sua sostanziale identificazione con la gestione venatoria.
Ecco allora che il panorama si allarga ad una attenta gestione urbanistica, che difenda il territorio dalle manovre speculative e che risparmi le zone agricole, alla difesa della proprietà pubblica dell’acqua, ad un equilibrato sistema di mobilità, al risparmio delle materie prime e dell’ energia, alla lotta all’inquinamento.
In altre parole ad una regia saggia e pensante, di alta moralità, in grado di resistere alle clientele ed alle corporazioni aziendali. La biodiversità faunistica non può esistere in un mondo dissestato, inquinato e sfruttato oltre ogni limite.
E’ assurdo ed illogico, ma è solo un esempio tra i tanti possibili, che vengano individuate aree da proteggere e che poi si autorizzino arterie stradali o impianti a fune che le attraversano.
È ingannevole che si professi la necessità di tutela e contemporaneamente si smobilitino le istituzioni e gli organi di controllo, così come è irrazionale che i vari Servizi ed Asssessorati della Provincia siano scoordinati e frazionati nei compiti e nei programmi.
Quadro normativo di riferimento
Le competenze della Provincia Autonoma di Trento in materia sono sancite dallo Statuto d’autonomia che, all’articolo 4, fissa i limiti “nel rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali”. Questi limiti sono stati varie volte confermati dalle sentenze della Corte Costituzionale, che altresì ha confermato lo status di legge di riforma economico-sociale alla legge quadro 157/91.
Il quadro normativo, con eventuali documenti interpretativi e tecnici, di riferimento può essere quindi così riassunto:
– L.P. 9 dicembre 1991, n. 24
– Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia;
– Legge 11 febbraio 1992, n. 157
– Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
– DIRETTIVA 79/409/CEE del 2 aprile 1979 Concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
– Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli;
– Key concepts of article 7(4) of Directive 79/409/EEC;
– Direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche;
– La gestione dei siti della rete Natura 2000. Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva «Habitat» 92/43/CEE.
Costituisce presupposto per la continuazione dei lavori del tavolo tecnico la certezza che, nel periodo di attività dello stesso, la normativa vigente nella Provincia di Trento non sia modificata o non venga disapplicata in una o più parti.
Principi gestionali
Il quadro delle conoscenze faunistiche, quale si evince dalla lettura del Piano Faunistico, del resto coincidente con la realtà, si dimostra in molti casi lacunoso. Dati sulla consistenza e la distribuzione delle specie cacciabili, in particolare per gli ungulati, possono basarsi su una serie piuttosto lunga di rilevamenti, anche se molte osservazioni si potrebbero fare sui metodi per lungo tempo e in parte ancor oggi utilizzati. Per le altre specie sono disponibili informazioni unicamente per quelle singole specie e gruppi per i quali sono state effettuate o sono in corso ricerche coordinate dal Museo Tridentino di Scienze Naturali, il Centro di Ecologia Alpina o singoli ricercatori, senza però un coordinamento e supervisione della Provincia, che a questa attività dovrebbe essere preposta, anche in virtù di quanto sancito dalla LP 24/91.
Appare opportuno un forte impegno della Provincia Autonoma di Trento nella programmazione di un piano di ricerca volto ad approfondire le conoscenze di tipo biologico ed ecologico, per aumentare il livello di conoscenze delle componenti faunistiche e dei complessi processi che regolano le reti ecologiche, con il più ampio coinvolgimento degli enti in grado di fornire contributi utili.
La programmazione della gestione faunistica a livello provinciale potrebbe svilupparsi secondo lo sviluppo dei seguenti punti:
a. La definizione delle problematiche;
b. L’individuazione degli ambiti d’azione;
c. La scelta di obiettivi generali e specifici;
d. La messa a punto delle azioni prioritarie per il raggiungimento degli obiettivi;
e. L’individuazione dei principali soggetti competenti per le azioni.
Elenco delle questioni rilevanti
Di seguito prospettiamo la rubrica delle questioni che, in prima approssimazione, ci paiono più rilevanti.
Prima di addentrarci nel loro dettaglio, vogliamo precisare, ribadire e richiamare un principio fondamentale che connota tutte le normative venatorie, siano esse nazionali o localistiche. In particolare, quanto alla provincia di Trento, tale statuizione fondante è inserita nell’art. 1, comma 2, della L.P. 24/1991 secondo cui la fauna è destinataria di tutela “nell’interesse della comunità” all’interno della quale deve trovare effettiva e reale partecipazione qualsiasi soggetto collettivo anche se portatore d’interessi, sensibilità e cultura diversi da quelli perseguiti dalle organizzazioni venatorie. Finora, la possibilità di cogestire il patrimonio faunistico, ha visto sostanzialmente emarginate le diverse entità ambientaliste, nonostante che il numero complessivo dei loro aderenti sia quantomeno paritario con quello rappresentato da chi si propone finalità talora confliggenti.- Il perseguire nei fatti il comune interesse, comporta il concreto e tangibile riconoscimento della presenza e dell’agire delle associazioni ambientaliste ed un loro effettivo democratico paritario coinvolgimento per la tutela del patrimonio faunistico collettivo.
Senza voler in alcun modo attribuire prioritaria valenza agli argomenti sulla base dell’ordine di esposizione, indichiamo quanto meritevole di attenzione ed approfondimento:
– Habitat: la progressiva riduzione e distruzione degli ambienti naturali ha una influenza negativa sempre più elevata nei confronti di molte specie animali e vegetali, riducendo ed alterando molti processi ecologici.
L’occupazione di sempre maggiori spazi da parte delle attività umane ha quindi un effetto negativo sulla biodiversità complessiva dei nostri ambienti; risulta pertanto urgente, e non più procrastinabile anche a livello locale, attuare efficaci politiche di gestione ambientale volte in particolare alla conservazione degli ambienti che stanno a poco a poco rarefacendosi. La costruzione di un sistema di protezione ambientale non può però prescindere dalla conoscenza approfondita del territorio, al fine di individuare le aree idonee a garantire la conservazione degli habitat e degli ecosistemi. Il Piano Faunistico è particolarmente carente sotto questo aspetto, sia per la disattenzione posta alla necessità della costruzione di una rete di aree protette, a partire dai parchi e dai biotopi già istituiti, alla dividuazione dei valichi interessati dalle rotte migratorie, alla individuazione di altre aree di protezione quali le ZPS (Zone di Protezione Speciale) e le IBA (Important Birds Areas).
– Specie cacciabili: per quanto riguarda le specie attualmente cacciabili una seria valutazione di tipo tecnico dovrebbe valutare la sostenibilità del prelievo venatorio sulla base delle conoscenze dello status delle varie specie. Sarebbe allora più opportuno analizzare la presenza nella Lista Rossa o altre classificazioni come le SPEC (Species of European Conservation Concern; Tucker and Heath, 1994).
Limitatamente all’avifauna, da una veloce analisi dell’attuale elenco delle specie cacciabili nella provincia di Trento risulta che ben 13 (Alzavola, Beccaccia, Beccaccino, Canapiglia, Coturnice, Fischione, Marzaiola, Moretta, Moriglione, Pernice bianca, Quaglia, Starna, Tordo sassello) sono comprese nella Lista Rossa degli uccelli nidificanti in Italia e di queste ben 8 sono classificate come SPEC, mentre altre 7 sono comprese solamente nella lista delle SPEC.
– Esercizio venatorio all’interno dei parchi naturali: è cosa nota, il principio dettato dall’art. 21, comma 1, lett. a) della L. 157/1992, integrato da quanto disposto dalla L. 394/1991, secondo cui l’attività venatoria è preclusa all’interno dei parchi e delle riserve naturali. Di contro, la legislazione provinciale, formata ed emanata ante codificazione delle disposizioni legislative anzidette, ignora totalmente il predetto divieto, nonostante che le prescrizioni richiamate abbiano indubbia valenza di leggi di riforma economico-sociali e, come tali, non derogabili dalla normativa provinciale, anche se frutto dell’autonomia legislativa conferita alla Provincia di Trento. Allo scopo di mediare tra le opposte tesi, pur dovendosi riconoscere l’infondatezza di quella che considera legittimo il prelievo venatorio, le sottoscritte associazioni propongono un duplice intervento: 1) la creazione all’interno dei due parchi naturali di alcune oasi di protezione; 2) la riduzione delle assegnazioni e dei prelievi delle specie destinatarie di caccia in misura pari al 50%, considerata la funzione di ripopolamento che i parchi svolgono.
– Censimenti: fermo restando che i censimenti risultano essere uno strumento fondamentale per determinare la consistenza della fauna,cacciabile e non cacciabile, presente nella nostra Provincia e di conseguenza per attuare una corretta gestione della stessa, riportiamo qui di seguito alcune considerazioni che riteniamo possano offrire un contributo costruttivo per migliorare le metodologie di monitoraggio delle specie e l’organizzazione e l’esecuzione dei rilievi.
Per quanto riguarda il monitoraggio delle specie oggetto di censimento, maggiori risorse ed attenzioni vanno rivolte soprattutto verso quelle più vulnerabili e a rischio, come ad esempio coturnice e pernice bianca, aumentando il più possibile le aree campione per avere così maggiori dati a disposizione. Per specie ad alto rischio come queste è infatti fondamentale poter conoscere e monitorare attentamente l’evoluzione della popolazione.
Per quanto riguarda il gallo forcello è indispensabile una valutazione delle potenzialità in base alle caratteristiche dell’habitat ed un’analisi di sostenibilità delle popolazioni. Vanno poi standardizzati date e numero delle uscite ed aree di saggio dei censimenti. Anche le due specie attualmente non cacciabili, gallo cedrone e francolino di monte, devono essere censite con maggiore attenzione, per poterne determinare l’attuale status.
Lo stesso dicasi per la lepre variabile, che andrebbe studiata con maggiore cura, visti gli effetti negativi dell’impatto ambientale di questa specie nelle Alpi.
Per la beccaccia si dovrebbe finalmente prevedere l’avvio di studi di monitoraggio. La conoscenza del successo riproduttivo nelle aree nordiche di riproduzione rimane comunque un parametro significativo per poter seguire il trend e limitare di conseguenza il prelievo di questa specie.
Particolare attenzione deve essere rivolta al capriolo, alla luce dell’attuale trend calante della specie. In questo caso, oltre a tenere conto della consistenza, si deve studiare l’andamento della struttura della popolazione per poterne determinare sia la mortalità invernale sia l’eventuale incremento.
A questo proposito un dato significativo del censimento primaverile dovrebbe riguardare il rapporto giovani di un anno/adulti, determinato in aree omogenee e definite in base a parametri bio-ecologici.
Uno dei requisiti fondamentali per una corretta organizzazione dei censimenti, ma anche per una migliore gestione generale della fauna, è la nomina dei tecnici di distretto, peraltro già previsti dal piano faunistico provinciale.
Tali figure dovrebbero, a nostro avviso, essere scelte tra professionisti abilitati all’esercizio della professione ed iscritti ai rispettivi ordini o ad associazioni quale ad esempio l’AIGF (Associazione italiana per la gestione faunistica). Ai tecnici, oltre all’aspetto organizzativo, verrebbe affidato il compito più delicato di verificare, attraverso indagini campione, la veridicità e la correttezza di quanto è stato rilevato dai conduttori dei censimenti.
Infine si evidenzia che, accettato il principio che a questa attività devono partecipare anche i rappresentanti delle componenti ambientaliste in situazione di pari dignità, è indispensabile che siano individuate ed attuate le modalità perché tale principio possa trovare pratica attuazione.
– Roccolo pubblico: la sua apertura, riedizione di una pratica di cattura che si credeva ormai superata e desueta, ha provocato irritazione ed indignazione in ben noti settori della pubblica opinione ed, in particolare, nei nostri confronti.
Si trascura la questione della spendita di risorse finanziarie pubbliche, destinate all’esclusivo soddisfacimento delle attese degli operatori venatori, ma non vogliamo ignorare, per contro, che la caccia all’avifauna attuata con richiami vivi produce la segregazione degli stessi in gabbie di contenzione di anguste dimensione pressoché o prevalentemente ubicate in ambiti strutturali privi di luce.
Tale modalità di utilizzo dei richiami, causa un’evidente situazione di maltrattamento nei loro confronti che non può essere ulteriormente tollerata. Senza voler vietare le altrui emozioni, insite nella pratica della caccia da capanno, si propone, pro futuro, il solo utilizzo di richiami acustici a funzionamento meccanico, previa abrogazione del divieto di cui all’art. 38, lett. m) della vigente legislazione.
– Articolazione sanzionatoria: ogni forma sanzionatoria è caratterizzata dalle seguenti connotazioni: attualità della pena, natura retributiva idonea a riparare la lesione dell’articolato ordinamentale.
Tali requisiti misurano la capacità di deterrenza delle pene in genere. Da questo punto di vista, è indubbio che le diverse graduazioni delle pene pecuniarie determinate nel 1991 non soddisfano più, attualmente, le finalità anzidette. A titolo esemplificativo, si evidenzia che una pena di (allora) 200.000, pari ad € 103,29 oggi dovrebbe essere rivalutata del 44,86%; tanto, in funzione del degrado del valore monetario intervenuto tra il 1991 ed oggi.- Allo scopo di conservare l’attualità e la deterrenza del trattamento sanzionatorio, è necessario provvedere alla rivisitazione delle pene pecuniarie all’epoca determinate ed introdurre nella legislazione venatoria, a valere pro futuro, un istituto di aggiornamento automatico su base ISTAT.
– Vigilanza venatoria: con la L. 157/92, si operò una scelta di apprezzata partecipazione democratica nella gestione della delicata tematica faunistica offrendo ai diversi attori spazi prima preclusi.
Fu così, che l’attività di vigilanza fu estesa sia agli ambientalisti che agli stessi cacciatori con il dichiarato proposito, apparente dai lavori parlamentari, di mitigare le vivaci contese. La Provincia, lodevolmente, si fece carico nel 1994, di formare, tramite specifico corso abilitante, un “corpo” ausiliario di soggetti che contribuirono ad ampliare il numero dei soggetti deputati all’attività de qua. Di seguito, tale iniziativa fu inspiegabilmente interrotta. Si auspica che tale comportamento, così come le generiche previsioni del piano faunistico, non preludano ad espungere da detta attività dei soggetti ritenuti “scomodi” o comunque esogeni al corpo forestale provinciale.
– Reintroduzioni e ripopolamenti: premesso che una seria politica di conservazione della natura, che miri ad ottenere il massimo dei risultati in rapporto alle risorse economiche disponibili, deve prevenire l’estinzione delle specie puntando alla salvaguardia degli habitat nel loro complesso, può in taluni casi rendersi necessaria la reintroduzione di alcune specie. Questi casi sono valutati positivamente solo qualora si verifichi la contemporaneità di alcune condizioni:
* La situazione della popolazione biogeografica della specie sia caratterizzata da uno stato sfavorevole e la sola tutela degli habitat non sia in grado di garantire la ripresa significativa dei contingenti presenti;
* Sia stata verificata la presenza delle condizioni minime per garantire la sopravvivenza di una popolazione minima vitale della specie;
* La reintroduzione sia tecnicamente possibile;
* La ricolonizzazione naturale dell’area da parte della specie sia da escludere nel medio lungo periodo.
Tutti gli interventi di questo genere devono quindi essere preceduti da uno studio di fattibilità atto a verificarne l’opportunità e l’efficacia nel breve, medio e lungo periodo. Questi interventi devono inserirsi in una strategia globale che affronti i temi della conservazione attraverso un binario multiplo di priorità: habitat, specie, siti e aspetti sociali.
Per quanto concerne i ripopolamenti il Piano Faunistico giunge alla conclusione che essi siano da eliminare come pratica, anche se si propone una soluzione dilazionata nel tempo, con la sola esclusione della specie fagiano, per la quale si esclude addirittura la predisposizione di uno studio di fattibilità.
Gli scriventi ritengono invece che, in sintonia con quanto affermato dall’ I.N.F.S., pur essendo il fagiano presente in Italia ormai da molti secoli per cui nuovi equilibri sono sicuramente venuti a crearsi all’interno delle biocenosi, sia da evitare l’immissione di esemplari “pronta caccia” nelle aree alpine e pertanto nell’intera provincia di Trento.
Già in sede di formulazione delle prescrizioni tecniche per l’annata venatoria 2005-2006 dovrebbe comparire la definitiva abrogazione di questa pratica incivile. Sempre in tema di reintroduzioni, “controparte” ripetutamente, ha avuto modo di asserire che l’attività venatoria è necessaria non fosse altro perché nell’ambiente naturale sono venuti a mancare i predatori; dal ché, la surrogazione del predatore artificiale nei confronti dei primi. Il piano faunistico prevede, tra le diverse politiche territoriali, anche quella di cui in rubrica. Si chiede pertanto, di conoscere tempi, entità delle componenti delle singole specie da reintrodurre, disponibilità finanziarie a ciò deputate per realizzare una di quelle politiche gestionali nei cui confronti la presenza ambientalista ebbe ad esprimere condivisione ed assenso.
– Interventi ambientali: il documento programmatico anzidetto ha concesso ampio spazio a tale capitolo di salvaguardia e miglioramento ambientale. Al riguardo, si chiede di stilare un programma pluriennale da attuare, di poi con gradualità, anche tenuto conto delle risorse finanziarie che si vogliono dedicare allo scopo che debbono trovare precisa allocazione nei rispettivi bilanci di previsione. Si chiede, fin d’ora, un reale coinvolgimento del mondo ambientalista, anche prevedendo la possibilità che parte degli interventi de quo possano essere realizzati, tramite idonea convenzione, anche da strutture societarie, costituite in forma cooperativa, da parte di associati delle rispettive organizzazioni.
– Detenzione di fauna selvatica: contestiamo la rigida distinzione tra fauna cacciabile e non, secondo la quale soltanto la seconda sarebbe detenibile per finalità di cura, riabilitazione e successiva liberazione in natura. Costituisce auspicio delle sottoscritte entità, che siano loro concedibili autorizzazioni finalizzate alla realizzazione di centri di recupero della fauna; ciò consentirebbe, oltre che una possibilità di fruizione visiva della fauna, uno strumento di educazione per la popolazione in genere, oltrechè un’occasione di creare le condizioni per l’esercizio dell’attività veterinaria in un ambito in cui, per assenza di “pazienti”, le altrui conoscenze appaiono limitate al solo pregresso percorso universitario; infine, per soddisfare una condizione di trasparenza nella temporanea gestione di ciò che costituisce patrimonio indisponibile dello Stato.
– Ex zone 23: il loro limitato numero e la relativa entità superficiaria non richiama l’esigenza di specifici particolari approfondimenti.
Tuttavia, considerato che 2 di loro ricadono all’interno dei confini del Parco Naturale Adamello-Brenta, si propone di destinarle ad oasi di protezione e, successivamente, affidare la gestione di una di esse alle associazioni ambientaliste al fine di realizzare un laboratorio all’aperto di studio delle dinamiche naturali e faunistiche anche prevedendo la possibilità di realizzare, se del caso mediante ristrutturazione, un punto di accoglienza per ospiti che potrebbe determinare apprezzabili esiti economici.
– Approfondimento delle conoscenze: trattasi di capitolo destinatario di valutazione da parte del piano faunistico. Coerentemente con la ripetuta esigenza di un maggior coinvolgimento delle associazioni ambientaliste e senza sbarrare la porta ad altri contributi, ad es. del Museo tridentino di scienze naturali, vediamo con favore la nascita di una rivista faunistica a cadenza bimestrale curata da un’aggregazione delle sottoscritte entità.
– Revisione dell’osservatorio faunistico: detto organismo, facente parte dell’organizzazione della tutela prevista dalla L.P. 24/1991, sembra aver fallito uno dei suoi scopi istitutivi; quello di organo di consulenza tecnico-scientifica della Provincia. Nel tempo, si è assistito ad un palmare e sostanziale appiattimento dello stesso verso altri organi e centri di potere, anche a cagione della parziale autoreferenzialità di esso, considerato che taluni dei suoi componenti sono gli stessi che siedono nel comitato faunistico. Inoltre, la carenza, per non dire l’assenza di risorse finanziarie spendibili per acquisire l’altrui sapere, ha impoverito fin dall’origine detto organo consulenziale.
– Distretti gestionali: in ragione della più volte asserita esigenza di partecipazione democratica nella gestione della fauna, non si ravvisa motivazione di sorta per escludere da detti organismi la presenza di chi cacciatore non è. È pressoché superfluo dover rilevare, che il confronto, anche più acceso, è ben poca cosa in rapporto alle contese che sorgono quando determinate componenti sociali sono aprioristicamente escluse dai centri decisionali.
– Criteri selettivi e note comportamentali: il ruolo pubblico non è di per sé bastevole per assicurare e garantire la terzietà nelle scelte. Ne viene, che sarebbe quantomeno auspicabile, che nei ruoli apicali di determinati servizi (leggasi, faunistico e foreste, tanto per fare una necessaria esemplificazione) fossero chiamate persone che, in concorso con altri ovvi requisiti, non fossero espressione di una sola ben chiara parte sociale.
È intuibile, infatti, che se per avventura il servizio faunistico od altro similare, fosse retto da un dichiarato animalista, le correlative decisione potrebbero apparire viziate dalla logica dell’appartenenza e/o delle personali passioni.
In un recente passato, si è constatato più volte che l’intervento del rappresentante del servizio faunistico era chiaramente negativo in relazione a taluni argomenti posti all’o.d.g. del comitato faunistico; tuttavia, incomprensibilmente, in sede di votazione esso componente ha optato per l’astensione dal voto. Ciò ha determinato intuibili perplessità che mal si conciliano con le responsabilità funzionali attribuitegli ed ha prodotto altresì intuibile disorientamento nei confronti della credibilità dell’importante comparto.
– Le diverse legislazioni di settore: ne ricordiamo talune, al solo scopo d’indurre a considerare l’ambiente naturale un unicum per la cui tutela, sovente scoordinata, concorrono diverse legislazioni di settore (viabilità, fauna minore, tutela della flora alpina etc.). Ognuna di queste legislazioni di comparto, oltre ad essere variamente datata nel tempo e frutto di diverse culture ambientali, si occupa di tanti microambienti all’interno di un unico bene destinatario, quantomeno, di attenzione, in cui le interrelazioni sono forse un poco trascurate. Sarebbe opportuno, anche con il nostro partecipativo concorso, sottoporre a revisione critica le singole disposizioni di legge e, forse, verificare la possibilità di accorparle in un testo unico che ha sempre un duplice pregio: immediatezza di esame del testo legislativo e più agevole accessibilità della politica legislativa territoriale, non potendo ignorare in argomento, che il nostro territorio è frequentato da ampia popolazione turistica da cui non si può pretendere la conoscenza globale di diverse norme disseminate in più corpi legislativi.
– Le risorse finanziarie: qualunque attività, anche volontaria, non può prescindere dalla disponibilità di fonti spesa. Ne consegue, che se d’un lato vi è non solo disponibilità ad essere maggiormente coinvolti nella gestione della risorsa faunistica, bensì specifica sollecitazione in tal senso, ciò porta a dover necessariamente essere beneficiari di pubblica contribuzione pur correlata e misurata agli e dagli specifici apporti. E’ pressoché superfluo dover rilevare che fino ad oggi le associazioni ambientaliste non hanno trovato apparenza nel comparto del bilancio provinciale formato dai diversi capitoli di spesa e, se vi hanno trovato cittadinanza, lo è stato soltanto per meri valori nominalistici. Letto ed approvato dalle associazioni ambientaliste partecipanti al tavolo tecnico di confronto.
Trento, 25 maggio 2005
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Aggiornato il 24 agosto 2005